LA DIDATTICA A DISTANZA E LE GUGLIE DELLE CATTEDRALI

Lettera aperta dei presidi delle scuole di Rancio - primaria Pietro Scola, media M.Kolbe e Liceo G.Leopardi.

In questi giorni ci è tornato alla mente un noto racconto che narra di un pellegrino medievale che, lungo il suo cammino, si imbatte in tre spaccapietre ai quali porge una stessa domanda: “che cosa fai?”.

“Non lo vedi?" rispose il primo, sgarbato, senza neanche sollevare il capo. "Mi sto ammazzando di fatica".  Il pellegrino non disse nulla e riprese il cammino. 

S'imbatté presto in un secondo spaccapietre. Era altrettanto stanco, ferito, impolverato.

"Che cosa fai?", chiese il pellegrino anche a lui.

"Non lo vedi? Lavoro da mattino a sera per mantenere mia moglie e i miei bambini", rispose l'uomo.

In silenzio, il pellegrino riprese a camminare.

Giunse quasi in cima alla collina. Là c'era un terzo spaccapietre. Era mortalmente affaticato, come gli altri. Aveva anche lui una crosta di polvere e sudore sul volto, ma gli occhi feriti dalle schegge di pietra avevano una strana serenità.

"Che cosa fai?", chiese il pellegrino.

"Non lo vedi?", rispose l'uomo, sorridendo con fierezza. "Sto costruendo una cattedrale".

E con il braccio indicò la valle dove si stava innalzando una grande costruzione, ricca di colonne, di archi e di ardite guglie di pietra grigia, puntate verso il cielo.

A questo racconto ha fatto riferimento una nostra docente della scuola media durante un’assemblea con i genitori. Condividiamo una parte del suo intervento, perché pensiamo possa essere di aiuto a chi, come noi, in questi giorni è profondamente sfidato dalle fatiche dei nostri bambini e dei nostri ragazzi che sono in didattica a distanza.  

“La parola fatica negli ultimi mesi ha continuato a presentarsi, come un ritornello invadente. Sembra essere diventata la costante delle nostre giornate in classe, l’ostacolo insormontabile e – insieme – la scusa perfetta. Quale risposta dare, quale suggerimento proporre, quale strada indicare a studenti che ti dicono: «Faccio fatica a venire a scuola, seguire le lezioni, studiare. Perché dovrebbe avere senso farlo?» Di fronte a una domanda così io annaspo. Annaspo perché non c’è saggezza preconfezionata che regga all’urto di un quesito di questo tipo. Da una parte, vorresti cedere alla tentazione di liquidarlo in due parole, relegandolo sotto il titolo di provocazione adolescenziale. Dall’altra, percepisci la radicalità della questione e la necessità di trovare un barlume di risposta – se non per quella dei ragazzi che hai di fronte, almeno per la tua stessa vita.  Tenendo a mente questa domanda e continuando a lavorare con i ragazzi, mi sembra di avere scoperto alcune piccole cose.

Il primo punto è che, come si vede con chiarezza nel brano dei tre spaccapietre, la fatica ha senso quando riesco ad intravvedere la cattedrale che sto costruendo. Se l’orizzonte delle mie giornate – delle mie ore trascorse a scuola o sui libri – non viene schiarito da qualche guglia, il lavoro – lo stare in classe, lo studio – diventa una condanna fine a sé stessa, che continuamente mi viene inflitta e continuamente subisco. Se – in altre parole – non mi è chiaro lo scopo, se non percepisco il di più di bene e bello in vista del quale mi spacco la schiena, la fatica diventa insopportabile [...].

La cattedrale tuttavia non si staglia all’improvviso contro il cielo per chissà quale prodigio, ma perché qualcuno – un insegnante – me l’ha ripetutamente indicata quando ancora non avevo occhi per scorgerla e perché – sulla base di quel dito adulto puntato all’orizzonte – mi sono fidato e reso disponibile a vedere a mia volta. [...]”.

La fatica urge un senso: è di questo che noi, e i nostri alunni abbiamo profondamente bisogno per reggere l’urto di queste circostanze.

Una famiglia, un professore da soli si possono scoraggiare... ma noi siamo insieme come adulti, pronti a sostenersi in questo compito, per non smettere di indicare ai nostri bambini e ragazzi le “guglie delle cattedrali”.

 

Annamaria Formigoni

Francesco Riva

Paola Perossi